Il “Piano Nazionale Scuola Digitale” del 27 ottobre 2015 è
stato, per la Scuola Italiana, un documento rivoluzionario, che ha dato un
forte impulso all’innovazione didattica. Le tecnologie non sono il fulcro delle
varie azioni didattiche, ma sono solo un mezzo per facilitare l’acquisizione di
vecchie e nuove competenze, tra cui quelle digitali.
Nel corso delle celebrazioni del primo
anno di PNSD, presso la Reggia di Caserta, è stato annunciato un investimento
di 100 milioni di euro per il rafforzamento delle competenze digitali degli
studenti. Il primo passo sarà l’introduzione di 60 ore annuali di coding (cioè
il pensiero computazionale che sta alla base della capacità logica di
affrontare e risolvere problemi) in tutte le classi della Scuola Primaria.
Questo passo è ritenuto indispensabile per avere, tra 10 anni, una popolazione
di giovani alfabetizzati sul pensiero computazionale, quello che viene ora definito
una nuova forma di pensiero critico. Più volte infatti è stata espressa la
preoccupazione, da parte del MIUR, di come ripensare il modello educativo per
dare un senso al rapporto tra docente e discente, sperimentando nuovi metodi e
nuovi contenuti, per far sì che venga ridotta il più possibile l’incongruenza
tra quello che la Scuola offre e quello che la società richiede. Il compito non
è facile, anche perché sono spesso proprio i docenti, prima degli alunni, ad
aver bisogno di sviluppare le competenze digitali di base. La spinta data dalla
formazione in servizio può essere in realtà un’occasione per acquisire
competenze necessarie ad affrontare una società che sempre più, anche solo per
dialogare con le istituzioni, richiede procedure digitali.
Purtroppo in Italia
il 47% degli adulti è privo delle competenze digitali di base. I 2/3 degli
italiani usa regolarmente internet, ma almeno la metà di essi non ha adeguate
conoscenze e capacità per scegliere consapevolmente quello che è vero o falso e
muoversi nel vasto e ricco mondo del web.
Altro passo fondamentale sarà la costruzione del curriculum
di Cittadinanza Digitale, cioè la capacità, una volta acquisite le competenze
più tecniche, di capire come usare e come valutare gli strumenti digitali. Il
web ci propone una quantità infinita di dati, che però dobbiamo imparare a
valutare, per non cadere in un neo-analfabetismo, col rischio di diventare
manipolabili.
Il
primo dicembre a Bruxelles è stata lanciata la Digital Skills and Jobs
Coalition, che prevede di attivare una serie di iniziative per ridurre il gap
di competenze digitali in Europa. Tra i rappresentanti per l’Italia abbiamo
visto ancora una volta il Prof Bogliolo dell’Università di Urbino, testimonial
e autore di successo, in questi anni, di tutte le iniziative ufficiali legate
al coding. Tra i partner della “Digital Skill and Jobs Coalition c’è la AgID
(Agenzia per l’Italia Digitale) che si occupa di promuovere le competenze
digitali per imprese, cittadini e Pubblica Amministrazione e le cui azioni di
intervento si basano sulla DAE (Agenda Digitale Europea).
Tra
le competenze digitali di base citate dall’AgID è interessante trovare, oltre
alla cittadinanza digitale, l’inclusione digitale, cioè l’uguaglianza delle opportunità
nell’utilizzo della rete e per lo sviluppo di una cultura dell’innovazione e
della creatività. In ambito scolastico siamo abituati a pensare all’inclusione
solo per gli studenti con difficoltà certificate. In realtà la tecnologia ci
offre mezzi e strumenti che rendono inclusiva qualsiasi tipo di attività
didattica, permettendo a chiunque di beneficiarne.
Ma i docenti su cosa devono concentrare la loro azione
didattica? Le parole chiave per le
competenze digitali ruotano tutte intorno al problem solving. Si parte da un
problema (spesso chiamato compito complesso o compito di realtà), si guidano
gli studenti a ricercare notizie per comprendere a fondo il problema, a
formulare e progettare ipotesi di soluzioni, a condividerle con gli altri per
creare confronto e sinergie di azioni. Queste azioni formano cicli
esperienziali che si concatenano fornendo come punti di partenza quelli che nei
cicli precedenti sono quelli di arrivo.
Insegnare
in questo modo non è semplice e richiede agli insegnanti una consistente
formazione su più tematiche: competenze, valutazione, competenze digitali e
nuove metodologie di didattica laboratoriale. L’impegno è enorme, ma
soprattutto è urgente. L’evoluzione tecnologica e la conseguente evoluzione
della società sono rapidissimi e spesso spaventano i docenti che iniziano solo
ora ad approcciarsi alla tecnologia. L’introduzione del Registro Elettronico
sta svolgendo anche il compito di “aggiornamento forzato”, costringendo anche i
docenti più timorosi ad utilizzare gli strumenti digitali. Ma ovviamente non
basta e non si può più perdere tempo. In tutta Italia stanno partendo i corsi
degli Snodi formativi realizzati con i fondi PON-FSE a cui possono partecipare
gli Animatori Digitali, i docenti del Team per l’Innovazione, i Tecnici, gli
assistenti Amministrativi, DS, DSGA e 10 docenti selezionati all’interno del
Collegio Docenti, ma il dato inquietante è che in molte Scuole è stato
difficile trovare 10 docenti interessati alla formazione. Questo è il sintomo
di una non completa percezione del cambiamento della società e del mondo del
lavoro e di una mancanza di informazione adeguata. Per i docenti che utilizzano
i social network, la migliore formazione parte dalla condivisione di esperienze
e suggerimenti all’interno dei gruppi Facebook dedicati alla didattica e
all’innovazione. E’ quindi sul web, da parte di chi ha superato il primo
scoglio delle competenze tecniche di base, che parte un fermento ammirevole,
una voglia di imparare che possiamo solo augurarci che, come un positivo
contagio, si diffonda il più velocemente possibile.
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